Giorgio Vittadini, da ilsussidiario.net
Parlare della ricostruzione post-emergenza sanitaria non vuol dire estraniarsi dalle urgenze del presente, ma obbliga anzi ad andarci più a fondo. Non scavalcarlo significa ad esempio prendere atto che il nostro Paese, nel mondo globalizzato del 2020, non può farcela da solo. E per questa ragione si aspetta con ansia il seguito all’annuncio fatto ieri dalla presidentessa della Commissione europea Ursula von der Leyen che ha equiparato il budget dell’Unione al piano Marshall.
Ancora più importante però è cogliere un altro dato di realtà che sta emergendo in questi giorni di crisi: il valore imprescindibile dei corpi intermedi. Certamente, l’importanza del loro ruolo nasce da un’idea che abbiamo di noi (che in questi giorni molti sembrano davvero sperimentare), di quello che siamo in grado di fare, della forza della nostra capacità di relazione, come abbiamo già sottolineato su queste pagine.
E lo voglio ribadire con un ennesimo esempio raccolto. Un ingegnere che sta lavorando al nuovo ospedale costruito alla Fiera di Milano, scrive a un amico: “Succedono cose incredibili: alla sera decidi una modifica, la mattina è già tutto fatto. Ieri ordini una TAC, domani vengono a installarla e in un giorno si preparano i locali dal nulla, con pareti piombate, climatizzato, gas medicinali, e tutto quello che serve. Questi sono moduli di terapia veri, con tutti i crismi per infettivi a contaminazione controllata e tutti i locali di supporto a una TAC e a una RX sterilizzatrice. Con tutte le dotazioni di norma. Vi assicuro che quello che sta succedendo in fiera non è normale, è straordinario, grazie a gente incredibile che non si ferma mai. Non si costruisce un ospedale da 250 posti di terapia intensiva in 15 giorni, e non sto parlando di 250 brandine messe in un palazzetto dello sport come accade in altri Paesi. Ci saranno 200 persone che lavorano a turni, coprendo le 24 ore, tutte sfamate gratis da Cracco che cucina qui dall’inizio. E potrei andare avanti. Questa è un’Italia fantastica che non avevo mai visto. Queste persone stanno facendo miracoli!”.
Energia umana, intelligenza, creatività, problem-solving, capacità relazionali: condizioni senz’altro non sufficienti per uscire da una crisi, che alcuni giudicano più grave del dopoguerra, ma necessarie.
Quindi, primo aspetto, che riguarda la centralità della persona: di questa risorsa sotterranea indispensabile per creare progetti, soluzioni innovative ai problemi, ce n’è più di quanta avremmo mai pensato prima della pandemia.
Naturalmente si potrà osservare che a fronte di tanti esempi positivi se ne potrebbero trovare altrettanti negativi. Quello che importa è notare che gli esempi positivi contengono l’”anticorpo” giusto contro una crisi, che è anche precedente a quella scatenata dal Covid-19. E l’anticorpo c’è.
Però, e qui arrivo ai corpi intermedi, questo anticorpo è molto di più della resilienza, dell’impegno, della capacità intelligente, e persino della solidarietà. È una forza che genera legami, che potenziano la soggettività e che danno vita a realtà sociali e progetti di collaborazione strutturati. È la forza propulsiva della cultura sussidiaria.
In questi giorni sta emergendo tutta la menzogna della disintermediazione, tutta l’astrattezza (che è il vero contrario dell’amore, più dell’odio, come mi disse un amico) di un’idea di Stato come istituzioni che si relazionano direttamente con i cittadini. In questi giorni si sta comprendendo che il ruolo delle istituzioni, della politica è quello di mettere a sistema le energie e le risposte generate dai corpi intermedi per il bene di tutti.
Non solo le grandi organizzazioni non profit e di volontariato, ma le aggregazioni di ogni tipo, dai partiti alle parrocchie, a realtà culturali, ai sindacati, alle associazioni d’impresa, alle istituzioni locali, hanno fatto da collettori di iniziative di supporto ai più diversi bisogni.
In questi giorni la vita per moltissimi non sarebbe stata possibile senza quella “società di mezzo”, (tra singoli cittadini e istituzioni), senza quei legami che creano la società civile. Non legami “difensivi”, mafiosi, ma costruttivi, di sviluppo, in realtà trasparenti e strutturate.
In un momento di grave emergenza può sfiorare l’illusione che il ricorso a poteri assoluti risolverebbe meglio e prima i problemi. Ed è sfiorata a più di uno l’idea guardando la Cina o l’Ungheria. Oppure si può essere tentati di ricorrere a un’altra scorciatoia, quella di chi minimizza il pericolo, minimizzando così il valore che attribuisce alla vita umana (come evidentemente stanno facendo alcuni paesi che sottostimano i contagi).
Anche in questo caso, le comunità di persone, i corpi intermedi mostrano di essere i garanti, oltre che di democrazia, anche di civiltà perché aiutano i singoli a informarsi, a capire, a contestualizzare, ad avere spirito critico.
Per questo l’uscita di casa, quando finalmente ci sarà, non dovrà essere un “aprire le gabbie”, ma il tornare a popolare dei luoghi. Li abbiamo surrogati, e forse riscoperti, con piattaforme online, ma ora forse possiamo capire di più quanto ci sono necessari.